LA DIANA, UN MITO RINCORSO A LUNGO DAI SENESI...

Secondo la cronaca tardo trecentesca del Bisdomini, nel 1176 i frati del Convento del Carmine avrebbero scavato nei pressi di Castelvecchio e lì avrebbero trovato una vena d'acqua di una certa rilevanza che avrebbe a lungo legittimato le ulteriori ricerche. I senesi hanno profuso per secoli energie e denaro nella ricerca di questo leggendario fiume sotterraneo, a cui fu dato nome "Diana", anche se mai notizia storica ne ha provato l'esistenza.

LE FONTI DI SIENA E L'IMPORTANZA DELL'ACQUA

L'importanza dell'acqua per l'uomo è sempre stata fondamentale, perché‚ gli usi che ne facevano erano svariati e comprendevano quello artigianale (per macinare il grano, lavorare il cuoio e le pelli, per la gualcatura della lana e in seguito per la produzione della carta), quello alimentare (per bere, per cucinare e per abbeverare gli animali), quello agricolo e quello igienico. L'acqua veniva poi utilizzata per spegnere gli incendi che, nell'antichità, erano purtroppo molto frequenti. Non è un caso, infatti, che molte città (Roma, Firenze, Torino ,Parigi, Londra, etc.) siano sorte e si siano sviluppate sulle rive di un fiume che, da solo, bastava ad assicurare l'acqua per tutti gli scopi di cui abbiamo parlato.

Siena, invece, nasce sulla cima di tre colline in una posizione meno malsana e più difendibile dagli attacchi nemici, ma molto distante da grossi corsi d'acqua. I fiumi intorno a Siena, infatti, o sono lontani (Merse, Elsa, Ombrone) o, seppur vicini, hanno (o avevano) una portata d'acqua assai scarsa in certi periodi dell'anno (Arbia, Tressa, Staggia, Riluogo).

Da qui la necessità per i Senesi, nei secoli XI e XII, dominati da un notevole sviluppo sia economico che demografico, di ricorrere alla costruzione di fonti limitrofe alla città che sfruttassero vene esistenti o addirittura vecchie fonti o pozzi di epoca romana o etrusca. La fonte serviva bene ai vari scopi illustrati in precedenza, in quanto il vasto bacino di raccolta dell'acqua, oltre a far abbeverare uomini e animali, era molto utile, in caso di incendi, per far riempire gli orci di terracotta da più persone contemporaneamente, cosa che sarebbe risultata impossibile con un singolo zampillo d'acqua.
Per quanto riguarda gli usi artigianali, la scarsità d'acqua di Siena causò l'allontanamento dalla città di certe attività che furono costrette a trasferirsi lungo l'Arbia, verso Cuna o Monteroni, o nella Val di Merse, verso Brenna; restarono tra le mura solo i piccoli opifici per i quali era sufficiente servirsi delle varie fonti (Follonica, Fontebranda etc.).

Le fonti Senesi si distinsero da quelle greche o romane perché‚ queste ultime, essendo utilizzate esclusivamente per scopi alimentari, erano costituite da vari zampilli e abbellite da decorazioni spesso zoomorfe. I bacini di raccolta dell'acqua della nostra città, servendo a molteplici scopi, si caratterizzavano invece per la loro essenziale funzionalità: per questo motivo le fonti erano per lo più suddivise in tre vasche di raccolta, collocate a vari livelli di altezza. Quella collocata più in alto, che riceveva l' "acqua nova" che sgorgava dal muro, rappresentava quella che oggi chiameremmo l' "acqua corrente" da utilizzare per bere e cucinare. La seconda vasca si alimentava dal "supero" della prima e, essendo meno pulita, serviva per abbeverare gli animali. Nella terza, collocata in basso, si potevano lavare i panni senza rischiare di sporcare le altre. Il trabocco finale, poi, veniva utilizzato per scopi artigianali (ad esempio per lubrificare le mole degli arrotini) o per innaffiare i campi circostanti. I due bacini, indistintamente, servivano poi come perenne riserva d'acqua in caso di incendi.

Fu nelle valli tra le colline su cui sorge la città che trovarono ubicazione le fonti: questo perchè‚ l'acqua che vi sgorgava era (ed è) stata raccolta da piccole vene del sottosuolo tramite acquedotti sotterranei, che a volte si allontanavano per chilometri dalla fonte stessa. E' ovvio che, in mancanza di mezzi idraulici adeguati, l'acqua poteva scorrere solo per la forza di gravità, dall'alto in basso, e quindi lo sbocco finale (la fonte) doveva trovarsi nel luogo più in basso.
Inizialmente poi le fonti erano tutte situate fuori dalle mura cittadine, che però col tempo, ampliandosi, le hanno ricomprese quasi tutte.
Per quanto riguarda le caratteristiche estetiche ed architettoniche, notiamo che le fonti furono, col tempo, coperte con delle volte, e questo perché‚ l'acqua raccolta nel bacino fosse protetta sia dagli agenti atmosferici (pioggia, vento...) che dall'incuria della gente, che era abituata come oggi a gettare l'immondizia giù dalle scarpate, in fondo alle quali si trovavano proprio le fonti. Inoltre sopra le volte si cominciarono a costruire delle merlature ed a rendere così le fonti delle vere e proprie fortificazioni avanzate (BICOCCHE), cioè gli antiporti della città. Questo accadde specialmente dopo il 1270 per scongiurare la vendetta di Carlo d'Angiò che in quel tempo stava devastando la Maremma. In più furono assegnate alle principali fonti delle guarnigioni di soldati, permanenti o meno, con lo scopo appunto di difenderle dai nemici che, distrutta la fonte e tolta l'acqua alla città, avrebbero messo facilmente in ginocchio la popolazione senese.
Oltre ai militari vi erano dei custodi pagati dal comune che avevano il compito di sorvegliare la fonte ed il suo bottino e di far rispettare le leggi, che erano al tempo molto severe in quanto l'acqua era un bene ritenuto indispensabile; c'era ad esempio il divieto di sporcare l'acqua, di fare un uso improprio dei bacini, di usare recipienti sporchi per riempirli d'acqua, di gettare rifiuti nell'acqua, di non introdursi nei bottini e così via. Talvolta, se la colpa era particolarmente grave, si poteva comminare al trasgressore anche la pena di morte: si racconta infatti che una donna, accusata nel 1262 di essere una strega e di aver cercato di avvelenare l'acqua, venne letteralmente "squartata" davanti all'intera cittadinanza.